La struttura della ridistribuzione propria delle popolazioni indigene delle Americhe rivela connotazioni che possono apparire paradossali, difficilmente comprensibili per coloro che sono formati da culture nelle quali il potere è intrinsecamente dotato di una significativa forza effettiva. Nel suo scritto del 1943, R. Lowie (8) individua tre caratteristiche fondamentali che delineano la figura dei “leader” tradizionali delle due Americhe. In primo luogo, il capo indiano deve essere un “artefice di pace”, incarnando il ruolo di mediatore all’interno del gruppo. In secondo luogo, il leader è tenuto a manifestare la massima generosità, rispondendo positivamente alle incessanti richieste di beni provenienti dagli altri membri della comunità. Infine, deve dimostrarsi un oratore di eccezionale abilità.
Le qualità fondamentali della leadership, nelle tradizionali comunità indiane, subiscono una significativa trasformazione quando la comunità è minacciata da guerre o da altri pericoli. In tali circostanze, l’autorità del capo diventa assoluta ed esercitata senza condivisione. Tuttavia, una volta restaurata la pace, questo potere ritorna nei confini prescritti dalla consuetudine. Pertanto, il modello di potere coercitivo viene accettato solo in circostanze straordinarie, quando il gruppo è confrontato con una grave minaccia esterna.
Durante i periodi di normalità, il potere si fonda sull’accettazione generale anziché sulla coercizione, rivelando così la sua natura non solo pacifica, ma anche pacificatrice. Infatti, il capo indiano è tenuto a salvaguardare la pace e l’armonia all’interno del gruppo.
Tuttavia, dato che a priori è escluso l’uso di una forza costrittiva che lui non detiene, il leader è chiamato a risolvere conflitti e dispute affidandosi solamente alla propria virtù, al proprio prestigio e all’intensità del suo discorso. Per quanto riguarda la generosità, considerata fondamentale, essa sembra sfociare quasi in un obbligo di servitù; infatti, tale dovere è spesso percepito dagli indigeni come una sorta di diritto a depredare il proprio capo. Francis Huxley (9), parlando del popolo degli Urubu, afferma che il ruolo del leader indigeno consiste nel concedere tutto ciò che gli viene richiesto; al punto che è sempre possibile identificare il capo indiano, in quanto sarà il più povero e indosserà gli ornamenti più modesti della tribù.
Oltre ad avere un’intensa aspirazione di appropriarsi dei beni del capo, gli indigeni dimostrano un profondo apprezzamento per le sue parole: le abilità oratorie, infatti, rappresentano uno dei tratti essenziali e il principale mezzo di esercizio del potere. I vari capi saranno quindi obbligati a esortare quotidianamente il loro popolo a vivere secondo la tradizione, a parlare di pace, onestà, armonia, e così via.
da pag. 67 di “UTOPIA? Persistenze culturali ed economia” di Angelo Cacciola Donati