Da piccolo, a La Spezia, mia nonna mi raccontava il periodo bellico. Le rovine dei bombardamenti erano ancora presenti e i resti della caserma XXIº (dove le SS sfogarono la loro furia) ancora svettavano truci nella periferia della città. Però la nonna me ne parlava quasi con dolcezza, ponendo in luce una quotidianità presente in tutte le guerre. – Suonava la sirena! – mi raccontava – E raccoglievamo le borse già preparate e raggiungevamo il rifugio della galleria ferroviaria. Lì passavamo lunghe ore chiacchierando, giocando a carte e mangiando (quando ce n’era…).
Aggiungeva poi dettagli quali la signora conosciuta, le confidenze ricevute e tante altre piccole cose che disegnavano nella mia mente infantile quella inestricabile rete di esperienze umane intrecciate tra di loro nonostante il pericolo sovrastante. A volte si suoi occhi azzurri si inumidivano come in un rimpianto di quegli abbracci vitali aldilà della guerra.
Spagna e Germania oggi, Gran Bretagna, Francia, Belgio, U.S.A., Russia ieri o l’altro ieri. Ormai non si tratta di un’ipotesi: siamo in guerra! Conflitto asimmetrico se vogliamo: da una parte bombardamenti e operazioni militari tradizionali come in Iraq, Siria, Afghanistan e dall’altra parte metodi più simili alla guerriglia, come nel Vietnam negli anni settanta. Però sempre di guerra si tratta e, il fatto che in occidente esistano ancora zone risparmiate dal conflitto, come l’Italia, non ci deve sorprendere. È già successo nel passato e dipende da molteplici fattori, non ultimo il ruolo dell’intelligence e delle forze di sicurezza.
Ritornando alla mia nonna, devo dire che nei suoi racconti di guerra mi stupivano i dettagli di una vita quotidiana che proseguiva nonostante tutto, quasi indifferente alle bombe che cadevano. Si continuava ad andare al mare, a giocare, a lavorare, ad innamorarsi, ma con la consapevolezza della propria fragilità e dell’importanza degli altri, possibili vittime anche loro del prossimo bombardamento. Senza aiutarsi reciprocamente non si sopravviveva.
Sarà proprio grazie a questa solidarietà diffusa, in grado di porre su di un piano secondario le divisioni ideologiche e individualistiche, che Italia, Germania e Francia (per fare un esempio) sono state rapidamente ricostruite. Quell’umanità e unione forgiata dalle sofferenze della guerra diede ai popoli la forza per guardare avanti e edificare la pace.
Nella situazione attuale occorre innanzitutto assumere la piena consapevolezza che stiamo veramente vivendo una guerra, i cui bersagli siamo noi stessi. Per il Daesh ogni occidentale è un obiettivo valido e gli ultimi eventi lo stanno dimostrando. Da questa nuova coscienza non deve derivare la paura e la diffidenza, né tantomeno l’indifferenza, ma bensì una maggiore solidarietà. È necessario comprendere che gli spagnoli, i francesi, gli inglesi, i tedeschi, … morti per mano dei “nemici” sono i nostri vicini, ci assomigliano, condividiamo gli stessi problemi, le medesime gioie, avevano degli affetti come noi e partecipavano alla stessa civiltà.
In nome tutte queste vittime, diviene sempre più urgente superare la corruzione e gli individualismi che ostacolano questa presa di coscienza. Ma, soprattutto, ricordando che solamente l’unione e solidarietà tra di noi può darci la forza per riconquistare la pace.
Angelo Cacciola Donati
Articolo apparso su Onda International Newspaper il 18/08/2017