Credo che molti di noi, in questo periodo di limitazione della circolazione e di blocco delle attività produttive, hanno notato qualcosa di diverso nell’aria che si respira all’aperto. Affacciandosi alla finestra o durante le brevi uscite per fare le compere, abbiamo potuto provare cosa significhi respirare a pieni polmoni e percepire i profumi nell’aria. Cos’è successo? Semplicemente è crollato l’inquinamento a livello globale.
Le fotografie prodotte dai satelliti della NASA mostrano una radicale caduta della polluzione in Cina, dovuta in gran parte agli effetti del blocco delle fabbriche e della circolazione.
Analogo fenomeno si osserva anche in Europa, dove anche nel nord Italia il NO2 scende del 10% ogni settimana.
I dati sulle vittime del Covid-19 sono allarmanti, ma questo non deve togliere l’attenzione dalle costanti morti a causa dell’inquinamento. Infatti, occorre sottolineare come l’inquinamento atmosferico provochi, nel mondo intero, 8,8 milioni di morti premature in un solo anno.
Al riguardo, l’8 di marzo, l’economista di risorse ambientali dell’Università di Stanford, Marshall Burke, ha dichiarato: “Tenendo in conto l’enorme quantità di prove che indicano che la respirazione dell’aria inquinata contribuisce fortemente alla mortalità prematura, una questione naturale è se le vite salvate da questa riduzione dell’inquinamento causato dalla crisi del COVID-19 superino il numero di decessi dovuti al virus stesso. Anche con le ipotesi più conservatrici, penso che la risposta sia molto chiaramente affermativa.”
Global Food, Environment and Economic Dynamics
D’altro lato, è innegabile una stretta correlazione tra Covid-19 e inquinamento dell’aria, in particolare da polveri sottili. Sembra, infatti, che il virus permanga per lungo tempo sulle polveri trasportate dall’aria, divenute così un privilegiato strumento di diffusione del contagio.
Ma l’impatto dell’inquinamento sullo sviluppo del coronavirus non si fermerebbe qui. Uno studio condotto da ricercatori e medici della Società Italiana di Medicina Ambientale, suggerisce l’esistenza di una relazione tra i livelli di particelle PM10 e PM2.5, sospese nell’aria, e il numero di persone con coronavirus. Concretamente, i ricercatori hanno collegato l’inquinamento atmosferico registrato dalle agenzie regionali di protezione ambientale alla fine di febbraio e il numero di contaminazioni. Hanno concluso che le curve nel nord Italia erano correlate. “Le alte concentrazioni di particelle registrate durante il mese di febbraio nella Pianura Padana hanno causato un’accelerazione della diffusione di Covid-19. L’effetto è evidente nelle province in cui si sono verificati i primi focolai”, afferma Leonardi Setti dell’Università di Bologna. “La polvere trasporta il virus. Agiscono come dei vettori. Più ci sono, più autostrade vengono create per il contagio”, continua Gianluigi de Gennaro, dell’Università di Bologna.
Angelo Cacciola Donati
Articolo apparso su Onda International Newspaper il 25/03/2020