La filosofia della storia: l’illusione dell’eterno presente

La maggior parte della gente, in principio, sembra credere che il mondo occidentale attuale debba perpetuarsi indefinitamente. Le risulta difficile concepire un modo di vivere realmente differente e, di conseguenza, una società totalmente nuova, dando, invece, per acquisito che niente modificherà il quadro economico e le strutture politiche che le sono familiari. In tal modo, si accentua una tendenza di pensiero che allarga a dismisura il ruolo il presente, fino al punto da inglobare nella sua logica la storia ed il futuro dell’umanità: interpretando così il passato a partire dai valori contemporanei e dimenticando la loro relatività nel tempo. Si giunge, in questa maniera, a considerare i comportamenti e le scelte individuali e organizzative odierne come comuni ad ogni genere di società umana; ritenendo, tra l’altro, che l’uomo sia dotato di una sorta di propensione naturale allo scambio ed al profitto, mentre ormai appare assodato come tali aspetti non abbiano mai svolto un ruolo importante nei sistemi economici d’altri tempi. Parallelamente a quanto avviene per il sistema di libero mercato che, anche se presente nelle società tradizionali (110), ha sempre assolto una funzione secondaria nella vita economica. Lo stesso Braudel, sostiene che “… fino al XIX secolo, l’economia di mercato costituisce soltanto un livello piú o meno consolidato e resistente, talora una sottile intercapedine, tra l’oceano della vita quotidiana che si estende al di sotto di essa ed i movimenti del gioco capitalistico che, più di una volta, la manovrano dall’alto. …” (111) Viceversa, i discepoli di Adam Smith ebbero una strana attitudine nei confronti degli esordi della storia umana, limitando la loro attenzione ai periodi nei quali era possibile trovare il baratto e lo scambio diffusi su di una scala minimamente considerabile e relegando, invece, l’economia prettamente tradizionale nella preistoria. In questa maniera, le differenze esistenti tra i popoli moderni occidentali e le società del passato sono state esagerate, soprattutto nel dominio economico. Nonostante che, l’Europa del Medio Evo fosse, economicamente parlando, ad un livello simile a quello dell’India, della Persia o della Cina dell’antichità. Praticamente, sembra che la storia sia stata ricostruita avendo come fine l’auto-giustificazione della società odierna, vetta suprema del lungo ed inesorabile cammino dell’uomo verso la “civilizzazione”.

Per ricostruire brevemente le ragioni che hanno condotto gran parte del pensiero occidentale a simili posizioni, occorrerà rifarsi al XVIII secolo con il sorgere del razionalismo dell’ “Age des Lumières”, che riconobbe nella storia il progressivo affermarsi dei principi della “ragione”, intesa altresì come una dimensione della verità. Così, separando la storia dalla trascendenza, il nuovo razionalismo cercò di rintracciare nel passato gli errori delle società umane nel cammino verso la giustizia e l’intelligenza. La disciplina storica, in tal modo, assunse come fine il progresso della ragione in vista dell’affrancamento degli uomini. Ed è, appunto, per tale motivo che i grandi storici del XVIII° secolo furono, anzitutto, dei filosofi acerrimi sostenitori della “ragione”, come Leibniz, Hume e Voltaire. Si ricorderà, per esempio, come per Leibniz la storia, definita come la negoziazione continua tra l’eterno ed il temporale, non sia mai abbandonata ad una casualità errante, poiché sarà sempre in possesso di una verità intrinseca. E come, in definitiva, lo stesso corretto orientamento degli avvenimenti risulti garantito da un “ordine universale”. (112)
In un contesto posteriore, anche lo stesso Hegel sottolineò come la conoscenza storica rappresenti l’indispensabile intermediario per la ricerca filosofica, in quanto : “… L’histoire est le devenir qui s’actualise dans le savoir, le savoir se médiatisant soi-même, l’esprit aliéné dans le temps….” (113) La storia, ormai trionfante, si trovò cosí indissolubilmente legata alla filosofia che le permise d’imporsi. Liberandosi, in definitiva, dalla religione per sottostare ad una metafisica di cui divenne fedele servitrice.
Le condizioni epistemologiche della disciplina storica peggioreranno ulteriormente nel secolo XIX° con il dominio delle scienze esatte sul pensiero filosofico. Infatti, ad un condizionamento dall’alto di tipo metafisico, sembrò ormai preferibile sostituire gli ipotetici motivi reali, le serie casuali che avevano determinato un fatto storico. La reciprocità di influenze attestate dall’esperienza, apparve sufficiente per giustificare un nuovo monismo che affidava alle scienze esatte la rivelazione del mondo e dell’uomo. Tutte le distinte fonti di sapere, trovarono, cosí, una loro collocazione all’interno della “Scienza” del secolo. In tal modo, le varie conoscenze furono ritenute della stessa natura e, l’”apparente differenza” tra loro, venne ricondotta alle diversità tra i linguaggi utilizzati nei vari rami del sapere. Mentre, parallelamente, si delineò un progetto volto a ridurre e, al limite, ad eliminare l’asimmetria che scaturisce dalla storia naturale tra passato, presente e futuro. D’altro canto, la fonte di coesione di tali correnti di pensiero non era originata solo dai contenuti e dalle teorie, continuamente mutevoli; ma da una serie di parole d’ordine, la cui astuzia era quella di riproporre una storia naturale in cui i determinismi avevano sempre ragione e comunque la meglio. In un’idea di razionalità sfociante nella negazione della contraddittorietà e della concettualizzazione dell’esperienza. Tali parole d’ordine asserivano che la scienza ha solo idee generali. Che il locale e il singolare sono contingenti e residuali. Che la strada maestra per la comprensione della natura sono le regolarità non limitate nello spazio-tempo: estrapolabili in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Che queste regolarità non cambiano. Che la scienza ha il compito di esprimere queste regolarità sotto la forma di leggi di natura. Che la comprensione dell’organizzazione avviene attraverso una sua riduzione ai principi d’ordine.
Ciò nonostante, nello spazio mentale della prima metà del XIX° secolo, delle grandi sintesi erano ancora possibili: saranno i diversi sistemi della filosofia della storia a mettere in prospettiva temporale la vita umana, cercando di prevederne le differenti fasi. Anche in questo caso, però, l’analisi si sviluppò in virtù di un dogmatismo a priori, le cui certezze di base erano mutuate dall’esperienza rivoluzionaria e dal progresso tecnico. L’avvenimento venne, cosí, interpretato partendo dal cammino percorso da ieri ad oggi, cercando di prevederne le peripezie a venire; mentre, la certezza in un progresso già acquisito, in ragione, in sicurezza ed in benessere, sembrerà autorizzare la speranza in un futuro migliore. Tra queste sintesi storiche, assunse rilievo un nuovo materialismo, introdotto da Marx, non piú biologico o naturalista, ma storico ed economico, le cui parole rammentano come: “… l’histoire rencontre à chaque stade un résultat matériel, une somme de forces productives, un rapport historique des hommes avec la nature et entre eux, qui sont transmis à chaque génération par celle qui la précède, une masse de forces productives, de capitaux, de circonstances qui, d’une part, est modifiée par la nouvelle génération, mais qui, d’autre part, lui assigne ses conditions propres d’existence et lui donne un développement déterminé, un caractère spécial; par conséquent les circonstances façonnent les hommes, tout autant que les hommes façonnent les circonstances. …” (114) Anche all’interno di simili e generosi tentativi di sintesi, a partire della seconda metà del XIX° secolo fino ad oggi, il pensiero evoluzionista dominò la riflessione storica: basando il tentativo di interpretazione delle società del passato sullo studio delle loro origini e della loro evoluzione nel tempo. Tale proposito si accompagnò, necessariamente, ad una intensa attività di classificazione e di comparazione, avente come meta la redistribuzione gli avvenimenti all’interno di uno schema evolutivo generale del sistema sociale. In questo modo, la descrizione del processo evolutivo dell’umanità venne rappresentata su varie grandi fasi succedentesi logicamente. A cominciare da una fase normalmente definita come “primitiva”, per culminare con la “civilizzazione”. La storia si identificò, così, con una sequenza unica e lineare di cambiamenti cumulativi ed irreversibili.
I motivi che hanno favorito l’egemonia culturale dell’evoluzionismo sono molteplici, anche se uno, in particolare, ritiene l’attenzione: l’eccessiva fiducia nella “ragione astratta”. Infatti, sembra che uno dei “vizi” della gnoseologia occidentale risieda nell’esaltazione del ruolo della componente mentale e raziocinante, a discapito dell’aspetto intuitivo ed affettivo. Anche se, la mente non sembra essere più atta del cuore a ricevere una mole infinita d’idee e sentimenti. Tale centralità della ragione, permette la costruzione di ardite teorie sempre piú astratte, la cui correttezza dipenderà soprattutto dalla logica formale interna, limitando, così, la loro effettiva rappresentatività dei fenomeni reali. In sintesi, una filosofia che pretenda cogliere l’assoluto e formularlo al di fuori del tempo, commette il medesimo errore di una storia persuasa d’avere ottenuto la verità su di un uomo o su di un’epoca.
In effetti, il predominio della ragione astratta nella disciplina storica, spinse a situare in un secondo piano il ruolo degli avvenimenti contestuali. Anche se, già lo spirito del Romanticismo, pur con i propri limiti, si levava contro tale relegazione : “… Composta dalle esperienze e dalle osservazioni del pensiero, la ragione è il risultato distintivo dell’educazione che l’allievo completa in sé stesso, come un artista, in relazione a certi modelli esterni. Ed è su questo principio che riposa la storia dell’umanità, in un modo tale che, senza di esso, non potrebbe nemmeno esistere. Infatti, se l’uomo, facendo scaturire da sé stesso tutti gli elementi della propria cultura, li sviluppasse indipendentemente dalle circostanze esterne, potremmo ben avere la storia dell’individuo, ma non quella della specie. …” (115) Ma, ciò che Herder, piú radicalmente, rimproverava ai filosofi del suo tempo ed in particolare a Kant, era appunto la pretesa di basare la storia sulla “ragion pura”, prescindendo dalla sensibilità e dal sentimento, relegati nell’animalità. Ponendo, invece, in rilievo come l’oggetto della storia non sia solo l’essere razionale che produce la ragione astratta, ma un complesso di sensazioni, di sentimenti, d’immaginazione, di ragione e di linguaggio, unico garante di un pari diritto alla felicità per ogni individuo. Infatti, la storia può presentarsi come il prodotto dell’incontro di due logiche, derivanti dai due insiemi di forze, intenzionali ed inintenzionali, costituenti l’azione cosciente dell’uomo; oltre a risultare forgiata dall’influsso ininterrotto delle proprietà dei rapporti reciproci. Mentre, in definitiva, il grado di controllo dell’uomo sul proprio destino dipenderà, in ultima istanza, dalla propria capacità di prendere coscienza e di farsi carico, della parte inintenzionale della propria esistenza. In tal senso, la differenza tra la storia e l’evoluzione della natura risiederà nell’intrinseca impossibilità, per qualsiasi specie animale o vegetale, di assumere le condizioni oggettive della propria esistenza.
Effettivamente, il passato di una società, non sembra rappresentarne né la natura interna né quella esterna, ma bensì evidenzia un’altra società. Infatti, nello scorrere del tempo, la posizione relativa dei sessi, delle generazioni e, più tardi, delle categorie sociologiche, è stata trasposta, trovandosi così inscritta nei comportamenti e nelle norme delle collettività che si sono succedute fino ad oggi. In ogni momento, una nuova congruenza si è strutturata con i fattori oggettivi incontrati. In tal senso e lungo una simile successione, nessuna società può ritenersi piú società di un’altra: né quella degli uomini rispetto ai primati, né quella dei popoli odierni rispetto ai “selvaggi”. Al riguardo, Durkheim così stigmatizzava gli evoluzionisti: “… Rien n’autorise à croire que les différents types de peuples vont tous dans le même sens; il en est qui suivent les voies les plus diverses. Le développement humain doit être figuré, non sous la forme d’une ligne, oú les sociétés viendraient se disposer les unes derrière les autres comme si les plus avancées n’étaient que la suite et la continuation des plus rudimentaires, mais comme un arbre aux rameaux uniques et divergents….”(116)

La prima metà del secolo attuale, vide il sorgere di un acceso dibattito sulle premesse filosofiche e sulla metodologia della scienza, che in breve coinvolse anche le discipline umanistiche. In tale contesto, la riflessione di Dilthey mise in luce come ogni epistemologia presupponga un’attitudine, una presa di posizione del soggetto nei confronti dell’oggetto conosciuto, affermando nel contempo, a proposito della storia, che: “… La première condition pour la possibilité de la connaissance historique consiste en ce que je suis moi-même un être historique: celui qui étudie l’histoire est aussi celui qui fait l’histoire. …” (117) Mentre, Heidegger, in modo piú esplicito, sosteneva che : “…Toccando in particolare l’esplicitazione dell’essere-là, prevale l’opinione che la comprensione e la “sintesi” delle civiltà più lontane con la nostra, debba condurre all’esaustivo ed autentico chiarimento dell’essere-là riguardo a se stesso. Una polivalente curiosità ed una insaziabile onniscienza mantengono l’illusione in una comprensione universale dell’essere-là. Ma, dunque, che cosa c’è veramente da comprendere? Ecco ciò che in fondo non si determina affatto, ecco una domanda che persino non si pone; infatti, resta ignoto che la stessa comprensione è un saper-essere che non potrà essere liberato se non dall’essere-là esistente, secondo la propria inalienabile singolarità….” (118)
Più recentemente, con Henri Marrou (119) emerge un nuovo orientamento della metodologia storica, che abbandonerà “la logica della storia” a favore di “un’etica dello storico”. In tal senso, la conoscenza storica diviene sempre più un esplorazione dell’ordine umano, dove ciascuno metterà in opera la propria umanità. Anche se, una simile dimensione della storia (“esistenziale”, in un certo senso), si era già annunciata con Nietzsche, sostenitore della necessità di “… sentir comme sa propre histoire l’histoire de toute l’humanité. …” (120) In particolare, ogni epoca recherà in se stessa una propria intelligibilità, mentre risulterà irrimediabilmente snaturata se sarà giudicata in funzione delle evidenze di un’epoca differente. “… Au lieu de rechercher à travers l’histoire le fil d’une succession linéaire poursuivant de siècle en siècle la réalisation d’un dessein d’ensemble, ou de déplorer l’absence de ce fil, il paraît plus raisonnable de penser que l’histoire est la dimension propre de l’humanité. (…) Ainsi s’ouvre la perspective d’une intelligibilité structurale, qui s’efforce de retrouver à travers les vicissitudes des événements un signalement permanent de la realité humaine. (…) Chaque temps vise, à travers les circonstances et les événements, quelque chose qui dépasse les circonstances et les événements. Chaque temps parle à tous les temps, mais aucun temps ne possède le secret de tous les temps, et chaque temps peut apporter quelque chose aux autres temps….”(121) In tale accezione, non esisterà mai, tra il passato (anche il piú remoto) ed il presente, una rottura totale o una discontinuità assoluta: le esperienze del passato, infatti, appariranno prolungarsi nel presente, arricchendolo. Permettendo così, a Braudel di affermare che: “… in breve, questa dialettica continuamente rimessa in gioco – passato-presente, presente-passato – sembra presentarsi come il cuore stesso, la ragion d’essere della storia. …” (122)
Nell’attualità, sembra nascere una nuova cultura che non vede più il mondo non come una macchina, ma bensì come un organismo vivente. Anche se, tuttavia, risulta difficile cogliere i problemi connessi all’adozione del nuovo punto di vista, come pure abbandonare i vecchi schemi. Al contrario, se si riuscirà ad accettare che la razionalità e la scienza non sono dei termini assoluti calati dal cielo, ma bensì dei concetti che acquistano significato soltanto in un contesto storico-culturale e che, quindi, in determinate situazioni potranno fronteggiarsi forme di razionalità diverse, diverrà possibile un confronto con le idee e le proposte ispirate da tendenze culturali differenti dalla nostra. Sempre in tale direzione, Gregory Bateson estende e modifica l’idea comune di conoscenza, presentandola come un qualcosa che dal passato ritorna nelle relazioni presenti e nel quale il contesto sarà ciò che assicurerà il significato delle parole e della comunicazione. Mentre, parallelamente, tale contesto apparirà collegabile all’idea di storia attraverso il cosiddetto “trasferimento”, definito dallo stesso autore nel seguente modo: “… si tratta di una caratteristica universale di ogni interazione tra persone, perché, in fin dei conti, la forma di ciò che è accaduto ieri tra voi e me rimane e informa di sé il nostro rapporto di oggi. E questo informare è, in linea di principio, un trasferimento dell’apprendimento passato….”(123) In definitiva, sembrerebbe che il “pensare per storie” e il “creare contesti” rappresentino quegli aspetti decisivi della critica dell’epistemologia moderna che meglio di ogni altri permettono di comprendere come il concetto di complessità, emerso nella fisica e nella biologia, trovi una fonte naturale in quel campo delle relazioni simboliche, sociali e umane, al cui interno si manifestano le conoscenze e i paradigmi che ne sorreggono la scientificità. La conoscenza storica, in tal senso, riguarda di per sé degli oggetti che sono per loro natura complessi, proprio in quanto non di oggetti si tratterà, ma di soggetti irriducibili all’addomesticamento delle descrizioni pure e neutrali.
Lungo tale orizzonte, le recenti esperienze scientifiche(124) mettono in luce come tutte le necessità e tutte le invarianti della biosfera, siano in realtà il prodotto di una evoluzione che non sarà la progressiva attualizzazione e ottimizzazione di certe leggi atemporali della storia, ma bensì la coevoluzione dei sistemi di cui fanno parte. La storia naturale della diversità biologica e delle direzioni dell’evoluzione rappresenterebbe così la storia naturale dei vincoli e delle possibilità. Anche se i vincoli e le regole non sono riferibili a necessità atemporali, ma bensì risultano inseriti in un gioco corale, in cui le possibilità coevolvono unitamente all’applicazione di tali regole. In conclusione, una simile visione sembra comportare un radicale riorientamento dell’atteggiamento cognitivo contemporaneo. In effetti, quanto piú si riescono a decifrare le intricate ragioni, le molteplici cause e le determinazioni profonde della storia naturale, tanto più si scopre che le cose potevano andare diversamente e che quindi ogni spiegazione si trasforma in una costruzione di scenari, di contropassati, contropresenti e controfuturi.

Angelo Cacciola Donati

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
(110)
Si utilizzerà l’aggettivo “tradizionale” per designare le popolazioni e società che si rifanno alle culture tradizionali, le cui origini normalmente si perdono nel tempo, per essere quasi sempre precedenti agli esordi del pensiero occidentale. Si includeranno, dunque in questa definizione le società primitive o arcaiche, come pure le popolazioni contemporanee situate ai margini del sistema economico e culturale occidentale. (n.d.r.)
(111)
Braudel F., “Afterthoughts on Material Civilisation and Capitalism”, [1977], trad.ital. “La dinamica del capitalismo”, Il Mulino, Bologna, 1981, p.55
(112)
Cfr.Leibniz, “Discours de Métaphysique” (1686); F.Meiner, Hamburg, 1975
(113)
Hegel, Phénoménologie de l’Esprit (1806), tr. Hyppolite, Aubier, 1939, t.II, p.311
(114)
“Idéologie allemande”, testo citato in Marx K., “Morceaux choisis”, N.R.F., 1934, p.81
(115)
Herder J.G., “Idées sur la philosophie de l’histoire de l’umanité”, Editions Levrault, Paris, 1827-1828, IX, p.138, (ns.trad.it.)
(116)
Durkheim, in Année Sociologique, XII (1912), p.60
(117)
Dilthey, “Gesammelte Schriften”, t.VII, Leipzig, Teubner, 1927, p.278, trad. e citata da Gusdorf G., “Introduction aux Sciences Humaines”, Editions Ophrys, Paris, 1960, p.458
(118)
Heidegger M., “Sein und zeit”, Max Niemeyer, Tübingen, 1927, p.178, (ns.trad.it.)
(119)
Cfr.Marrou H., “De la logique de l’histoire à une éthique de l’historien”, Revue de Métaphysique et de Morale, n° 3-4, 1949
(120)
Nietzsche F., “Le Voyageur et son Ombre”, Mercure de France, Paris, p.118
(121)
Gusdorf G., “Introduction aux Sciences Humaines”, Editions Ophrys, Paris, 1960, p.501
(122)
Braudel F., “Afterthoughts on Material Civilisation and Capitalism”, [1977], trad.ital. “La dinamica del capitalismo”, Il Mulino, Bologna, 1981, p.61
(123)
Bateson Gregory, in Alfonso M.Iacono, “Pensare per storie”, “il Manifesto” del 15 marzo 1990
(124)
Cfr.Prigogine I., “La zia aveva ragione”, articolo apparso in “la Repubblica” le 11 février 1990, Roma e Lara B., “La decisión, un problema contemporáneo”, Espasa-Calpe, Madrid, 1991
(110)
Si utilizzerà l’aggettivo “tradizionale” per designare le popolazioni e società che si rifanno alle culture tradizionali, le cui origini normalmente si perdono nel tempo, per essere quasi sempre precedenti agli esordi del pensiero occidentale. Si includeranno, dunque in questa definizione le società primitive o arcaiche, come pure le popolazioni contemporanee situate ai margini del sistema economico e culturale occidentale. (n.d.r.)
(111)
Braudel F., “Afterthoughts on Material Civilisation and Capitalism”, [1977], trad.ital. “La dinamica del capitalismo”, Il Mulino, Bologna, 1981, p.55
(112)
Cfr.Leibniz, “Discours de Métaphysique” (1686); F.Meiner, Hamburg, 1975
(113)
Hegel, Phénoménologie de l’Esprit (1806), tr. Hyppolite, Aubier, 1939, t.II, p.311
(114)
“Idéologie allemande”, testo citato in Marx K., “Morceaux choisis”, N.R.F., 1934, p.81
(115)
Herder J.G., “Idées sur la philosophie de l’histoire de l’umanité”, Editions Levrault, Paris, 1827-1828, IX, p.138, (ns.trad.it.)
(116)
Durkheim, in Année Sociologique, XII (1912), p.60
(117)
Dilthey, “Gesammelte Schriften”, t.VII, Leipzig, Teubner, 1927, p.278, trad. e citata da Gusdorf G., “Introduction aux Sciences Humaines”, Editions Ophrys, Paris, 1960, p.458
(118)
Heidegger M., “Sein und zeit”, Max Niemeyer, Tübingen, 1927, p.178, (ns.trad.it.)
(119)
Cfr.Marrou H., “De la logique de l’histoire à une éthique de l’historien”, Revue de Métaphysique et de Morale, n° 3-4, 1949
(120)
Nietzsche F., “Le Voyageur et son Ombre”, Mercure de France, Paris, p.118
(121)
Gusdorf G., “Introduction aux Sciences Humaines”, Editions Ophrys, Paris, 1960, p.501
(122)
Braudel F., “Afterthoughts on Material Civilisation and Capitalism”, [1977], trad.ital. “La dinamica del capitalismo”, Il Mulino, Bologna, 1981, p.61
(123)
Bateson Gregory, in Alfonso M.Iacono, “Pensare per storie”, “il Manifesto” del 15 marzo 1990
(124)
Cfr.Prigogine I., “La zia aveva ragione”, articolo apparso in “la Repubblica” le 11 février 1990, Roma e Lara B., “La decisión, un problema contemporáneo”, Espasa-Calpe, Madrid, 1991

Articolo apparso su Onda International Newspaper il 15/07/2014